La parola al nutrizionista

Il frutto dei guerrieri atzechi

Il fico d'India è originario del Messico e da qui, nell'antichità, si diffuse tra le popolazioni del Centro America che la coltivavano e commerciavano già ai tempi degli Aztechi, presso i quali era considerata pianta sacra con forti valori simbolici, un cibo per guerrieri e re.

Il fico d'India (Opuntia ficus-indica) è una pianta grass con fusti modificati di forma appiattita e ovaliforme detti “pale”; essa produce frutti commestibili molto apprezzati contenenti numerosissimi semi e ricoperti di minuscole spine particolarmente insidiose e difficili da rimuovere una volta conficcate nella cute.

 

Il colore dei frutti varia a seconda delle varietà: giallo-arancione nella varietà sulfarina, rosso porpora nella varietà sanguigna e bianco nella muscaredda. La forma è anch'essa molto variabile, non solo in funzione della varietà ma anche in rapporto all'epoca di formazione: i primi frutti sono tondeggianti, quelli più tardivi hanno forma allungata.

 

Il fico d'India è originario del Messico e da qui, nell'antichità, si diffuse tra le popolazioni del Centro America che la coltivavano e commerciavano già ai tempi degli Aztechi, presso i quali era considerata pianta sacra con forti valori simbolici, un cibo per guerrieri e re; tra gli Incas la coltivazione dell’Opuntia serviva per allevare la cocciniglia del carminio, un colorante usato per la tintura delle stoffe.

 

In Europa il fico d’India fu portato dopo la scoperta delle Americhe e, data la sua resistenza e la relativa facilità di coltura, si diffuse rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo divenendo un elemento caratteristico del paesaggio. La sua diffusione si dovette sia agli uccelli, che mangiandone i frutti ne assicuravano la dispersione dei semi, sia all'uomo, che ne  trasportava i frutti sulle navi quale rimedio contro lo scorbuto.

 

I frutti, infatti, sono ricchi di fibre, vitamine e sali minerali, e per questo gli sono riconosciute proprietà diuretiche, astringenti, antinfiammatorie, antiossidanti e gastroprotettive. Del fico d'India vengono utilizzati, nelle maniere più disparate, sia i frutti che le pale.

 

Tipici della tradizione messicana sono il miel de tuna, uno sciroppo ottenuto dall'ebollizione del succo, il queso de tuna, una pasta dolce ottenuta portando il succo alla solidificazione, la melcocha, una gelatina ricavata dalle mucillagini delle pale, ed il colonche, una bevanda fermentata a basso tenore alcolico. Le pale (nopales), invece,  vengono accuratamente private delle spine e scottate su piastre arroventate di pietra o di ferro: si trovano già pronte all'uso nei mercati rionali o vendute dagli ambulanti per le strade, insieme a crema di fagioli, mais e cipolla.

 

Sempre in Messico la O. ficus-indica è utilizzata per l'allevamento del Dactylopius coccus, una cocciniglia che parassitia le pale e da cui si ricava un pregiato colorante naturale, il carminio. I tentativi di importarne l'allevamento anche nel Mediterraneo non hanno avuto successo a causa delle temperature eccessivamente basse e delle piogge frequenti che impediscono la sopravvivenza dell'insetto nei mesi invernali. L'allevamento si è affermato, invece, nelle Isole Canarie, soprattutto nell'isola di Lanzarote, dove costituisce una fiorente attività economica.

 

In agronomia il fico d’India è utile per la difesa del suolo, per la realizzazione di siepi frangivento e di fasce tagliafuoco, per la pacciamatura, per la produzione di compost; in periodi di siccità le pale possono essere utilizzate anche per nutrire il bestiame, sotto forma di foraggio fresco o stoccate come insilato.

 

Dalle pale di fico d’India è stato realizzato un tessuto completamente vegetale e molto simile alla pelle che ha riscosso immediatamente un grande successo, come alternativa ecosostenibile alle pelli animali e sintetiche. I semi vengono utilizzati per estrarre un olio dalle proprietà cicatrizzanti e benefiche per la pelle. impiegato in cosmesi per la produzione di creme, lozioni e shampoo.

 

Se il fico d’India è un simbolo nazionale in Messico, è in Sicilia che questa pianta ha trovato la sua seconda casa. Sia sui terreni vulcanici dell’Etna che su quelli sabbiosi e argillosi, il fico d’India è un simbolo di sostenibilità e di resilienza, biologico per vocazione e proiettato verso il futuro:  non ha bisogno di tanta acqua per sopravvivere, resiste bene alle calure estive e non necessita di trattamenti antiparassitari per la sua coltivazione.  

Con una vera e propria folgorazione questo frutto ha ammaliato nel tempo chef e pasticcieri, le cui creazioni vanno dalla mostarda ai fichi d’India, celebre dessert dell’arte culinaria popolare siciliana, per arrivare sino ai giorni nostri, con nuove ricette che contemplano anche l’utilizzo delle pale, il cui sapore, vagamente simile a quello dei fagiolini e degli asparagi, permette di consumarle in insalata, saltate in padella,  fritte o, come a Ponza, con pomodoro e formaggio per una insolita parmigiana.

 


Pubblicato il 12 settembre 2023