La parola al nutrizionista

Il gelso, un albero ingiustamente dimenticato

Gli alberi comunemente chiamati gelsi appartengono al genere Morus, originario dell'Asia, ma anche diffuso, allo stato naturale, in Africa e in Nord America. Le principali specie conosciute e rinvenibili in Italia e in Europa sono il gelso bianco (Morus alba) e il gelso nero (Morus nigra).

I frutti del gelso sono detti “more” e si presentano come  frutti morbidi e succosi di colore bianco o nero-rossastro a seconda della specie, dal sapore dolce e acidulo che raggiunge la sua piena maturazione nei mesi estivi.

Si tratta di  frutti poco calorici e ricchi di vitamine, sali minerali e antiossidanti.

Come albero da frutto, il gelso nero è quello più utilizzato poiché produce drupe più carnose, abbondanti e succulente, molto apprezzate già nell’antica Grecia e durante l’Impero Romano. Le more di gelso nero sono ottime mangiate fresche e indicate per produrre confetture e distillati; in Sicilia è famosa la granita di gelso. Il Morus nigra non mancava nei chiostri  medioevali perché i frati lo usavano per la produzione di un vino detto "Vinum moratum" o per arricchire il colore del vino rosso.

Il gelso bianco viene invece coltivato perché le sue  foglie sono utilizzate come alimento base per l'allevamento dei bachi da seta; una ricerca commissionata dalla FAO  ha però valutato il loro impiego anche come foraggio per altri animali (suini, bovini, ovini, animali da cortile) dal momento che si tratta di un cibo ben digeribile e appetibile, ma soprattutto sano e nutriente.

In Europa, sebbene l'Impero romano conoscesse e apprezzasse la seta, la conoscenza della sericoltura è giunta solo intorno al 550, attraverso l'Impero bizantino; la leggenda dice che monaci agli ordini dell'imperatore Giustiniano furono i primi a portare a Costantinopoli alcune uova di baco da seta nascoste nel cavo di canne di bambù.

Dal XII secolo l'Italia fu la maggior produttrice europea di seta e l'allevamento dei bachi fu un importante reddito di supporto all'economia agricola.  Con la rivoluzione industriale la bachicoltura ebbe un grande sviluppo, soprattutto nel nord Italia, per fornire le nascenti filande industriali di materia prima: gli alberi di gelso divennero  una presenza pressoché costante nelle campagne, per lo più nella  forma colturale classica  a filari con piante “capitozzate”. Con l’avvento delle fibre sintetiche la produzione di bozzoli in Italia cominciò a declinare, e molte piante di gelso vennero estirpate; la bachicoltura cessò definitivamente dopo la Seconda Guerra Mondiale e con essa anche il gelso venne ben presto cancellato dalla memoria collettiva. Oggi la presenza del gelso nel paesaggio rurale è memoria di un glorioso passato e di un mondo contadino ormai scomparso; tuttavia molti alberi di gelso sono protetti da una legge nazionale in quanto considerati esemplari “monumentali” da tutelare per il loro valore naturalistico, paesaggistico e storico-culturale. Tra gli esempi più noti  esiste in Lombardia, a Ponte in Valtellina (So),  un gelso bianco  di oltre 400 anni di vita, con diametro del tronco di 4,44 metri e altezza di 10 metri.

 


Pubblicato il 04 giugno 2020