La parola al nutrizionista

Piccola, grande Achillea

L’ Achillea moscata, conosciuta anche come Erba Iva o Taneda, è una pianta perenne di altezza compresa tra i 10 e i 20 cm, composta da gruppi di 5-10 fiori di colore biancastro dal forte profumo caratteristico. Le si attribuisce il nome Achillea poiché nell’ antichità si narrava che avesse curato le ferite di Achille, l’ eroe del poema omerico “Iliade”.

Cresce nelle regioni dell’ arco alpino, Italia, Francia, Svizzera ed Austria ad un altezza compresa tra i 1400m ed i 3000m e viene raccolta nel periodo tra luglio e agosto. Cresce in terreni poco calcarei, in zone soleggiate e resiste a temperature inferiori a -23°C.

 

L’achillea è ricca di diverse sostanze, per le quali trova svariati utilizzi:

- cosmetologico: le foglie tritate possono essere utilizzate come un detergente per le pelli grasse;

- farmacologico:  il principio attivo Achilleina è stato utilizzato, nel XIX secolo, in Francia ed altre regioni europee come sostituto del chinino, per trattare febbri intermittenti. Ma questa pianta possiede anche proprietà antinfiammatorie, digestive, diuretiche ed espettoranti.

 

Ma il suo utilizzo più noto è senz’altro in campo alimentare: con i fiori dell’achillea moscata si prepara un liquore detto appunto “taneda” che viene servito solitamente dopo pasti pesanti come digestivo. Questa pianta, inoltre, viene utilizzata per la produzione della nostra famosissima  “Pestèda”, (che significa pestata, picchiata): un insaporitore aromatico originario di Grosio, tipico della cucina valtellinese e largamente utilizzato come condimento per carni, verdure, patate e piatti tipici come i pizzoccheri, il riso o il lardo. Alcune famiglie di Grosio continuano a preparare la pesteda secondo antichi metodi tradizionali tramandati all’ interno della famiglia. La ricetta prevede l’utilizzo di sale, pepe, aglio, timo serpillo (peverel), bacche di ginepro e taneda (Achillea moscata). La quantità delle diverse componenti varia a seconda della tradizione culinaria della famiglia.

 

La raccolta dell’Achillea moscata è oggi regolamentata  dalla legge regionale 27 luglio 1977 n. 33 e può essere effettuata solo da chi è in possesso dell’autorizzazione rilasciata dal sindaco competente per territorio. Ma fino agli anni ‘70 la raccolta e la vendita dell’erba iva costituivano per le famiglie degli alpeggi una fonte aggiuntiva di reddito, al pari di altre piante commercializzate quali l'arnica, il timo selvatico, i mirtilli. La raccolta può essere infatti particolarmente distruttiva qualora il raccoglitore strappi non solo il fiore e la parte apicale ma l'intera pianta comprese le radici, o qualora, nell'intento di strappare il fiore, provochi anche un leggero distacco delle radici dal terreno, in ragione degli  equilibri precari e fragili che caratterizzano l'ambiente alpino. Le raccomandazioni del passato su come raccogliere (utilizzo di due dita sotto il fiore o di entrambe le mani per non strappare le radici) la pianta sono sostituite dalle raccomandazioni odierne sull'uso di apposite forbicette. La pratica dell'alpeggio e il pascolo degli animali favorisce la presenza della pianta, che può crescere appunto in presenza di un prato pulito e non infestato da specie più forti e alte. L'abbandono dei pascoli alpini favorisce invece lo sviluppo di specie che soffocano, perché più robuste e più alte, lo sviluppo di questa forma di achillea.

 


Pubblicato il 28 agosto 2019